Potrebbe avere nuovi sviluppi l’inchiesta sullo stupro della ventenne sancataldese, che un gruppo di nigeriani – cinque finora quelli arrestati dai carabinieri – avrebbe sequestrato, drogato e abusato per cinque giorni in un appartamento del quartiere Saccara. Non vi sono dubbi, per chi indaga, che lo stupro dell’universitaria di San Cataldo ci sia stato, ma l’inchiesta dei carabinieri della Tenenza di San Cataldo e del Nucleo operativo di Caltanissetta – coordinati dal procuratore aggiunto Lia Sava – è ancora in itinere e potrebbe presto aggiungersi un nuovo capitolo di questa drammatica storia di violenza. Gli investigatori dell’Arma, infatti, stanno passando al setaccio i tre telefonini della ventenne rinvenuti nella casa di via Mussomeli abitata da alcuni dei nigeriani arrestati, così come alcuni tablet. Dalle perquisizioni, inoltre, sono saltati fuori due coltelli e una ventina di grammi di hashish. Sono ore frenetiche, perché oltre alla versione fornita dalla ragazza si stanno cercando ulteriori riscontri tecnici sulle ripetute telefonate dei genitori – in particolare della madre della ragazza – ad una delle quali, secondo quanto s’è appreso da ambienti investigativi, avrebbe risposto per un paio di secondi uno dei nigeriani. “Sua figlia sta bene, adesso è in bagno… la faccio richiamare…”, si sarebbe sentita rispondere la donna già in apprensione. Inizialmente il telefonino squillava a vuoto, fin quando c’è stato il black out totale. E da allora i contatti con la figlia si sono persi.
Insomma, tabulati telefonici al setaccio ma anche le chat di Facebook e le conversazioni su Whatsapp sono finite sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti. Che la ragazza fosse in quella casa, per chi indaga è un aspetto blindato. E che sia stata abusata, anche sotto il profilo clinico è una certezza. Ma v’è di più in questa frenetica indagine che a ritroso sta ricostruendo pezzo dopo pezzo gli ultimi cinque giorni della ragazza nelle mani dei presunti aguzzini. Già, perché nelle ultime 72 ore i carabinieri hanno sentito qualcosa come 40 testimoni, tra familiari e amici della ragazza. Così da fugare ogni dubbio su un racconto agghiacciante che gli inquirenti ritengono assolutamente attendibile e riscontrato. Tra le persone sentite a sommarie informazioni, infatti, c’è chi ha confermato l’esistenza e il luogo della festa alla quale la ragazza ha partecipato, svenendo dopo aver bevuto parecchio, chi ha provato con insistenza a chiamarla sul cellulare anche nei giorni successivi.
Ma su questa versione, fa da contraltare la difesa dei nigeriani che – alla presenza degli avvocati Michele Russotto e Calogero Vinci – si sono difesi davanti al Gip Marcello Testaquatra che ha convalidato i fermi e confermato la custodia cautelare in carcere. Spiegando che è stata la ventenne a bussare alla porta della loro abitazione e di aver trascorso lì alcuni giorni, fra quelle mura fatiscenti, chattando tranquillamente con il telefonino. Insomma, secondo la tesi a difesa dei cinque stranieri, alla ragazza non è stato torto un capello perché lei fin da subito è stata assolutamente consenziente. Loro, Cross Agbai di 34 anni, Majesty Wibo di 31, Lucky Okosodo di 23, Lawrence Ko Oboh di 40 e Amaize Ojeomkhhi, di 27, per adesso sono e restano in carcere