<strong>Tratto da Il Fatto Quotidiano del 22 febbraio 2014</strong> Il suo film più surreale lo ha fatto vivere a una famiglia di tre persone, costretta a trascorrere oltre due anni sotto un finto programma di protezione, in una sorta di Truman Show antimafia finito male: con l’accusa di sequestro di persona, il giudice monocratico di Palermo, Patrizia Ferro, ha condannato ieri mattina a sei anni di carcere il regista agrigentino Mario Musotto (in foto), frequentatore di manifestazioni contro le cosche e autore di documentari sui temi della lotta a Cosa Nostra, uno dei quali, Trent’anni di mafia, sarà presentato nel maggio prossimo in Canada e a New York e Los Angeles. Per due anni, dal 2004 al 2006, Musotto, socio di Vincenzo Balli in una società di gestione di spettacoli, la Word Ticket, ha fatto credere a Balli, alla moglie, Patrizia Trovato e alla loro bimba di pochi anni, di essere finiti nel mirino di pesanti minacce antimafia, per avere dato aiuto e ospitalità allo stesso Musotto, destinatario, a suo dire, di analoghe, precedenti, minacce dovute al periodo in cui prestava servizio nell’arma dei carabinieri ed era impegnato nella cattura di pericolosi latitanti mafiosi. E qui entra in scena una fantomatica squadra di sedicenti carabinieri, mai identificati, che per due anni costringe la famiglia Balli a una vita blindata, in casa con le tapparelle abbassate o fatta di stressanti trasferte in località segrete con auto di scorta con lampeggianti, mancate registrazioni negli alberghi, nomi di copertura, passamontagna, appostamenti di uomini senza volto sul tetto. Una protezione h24 coordinata, a dire di Musotto, dal maresciallo dei carabinieri Vincenzo Quarta, nome in codice “Orso”, che per email dirige le operazioni di tutela per difendere la famiglia Balli dalle minacce mafiose che continuano ad arrivare frequenti e puntuali, anche attraverso misteriosi sms. Non solo. In quel periodo i Balli hanno la sensazione di essere intercettati in casa con microspie, visto che le conversazioni tra i due coniugi vengono commentate in diretta dagli sms senza mittente. LA MESSA IN SCENA viene scoperta dallo stesso organizzatore di spettacoli che, insospettito dal clima sempre più misterioso e surreale che circonda la sua famiglia si rivolge prima a un sottufficiale dei carabinieri, scoprendo così di non essere formalmente sotto alcun programma di protezione, ma soprattutto parla con il “vero” maresciallo Quarta, che cade dalle nuvole e verbalizza le dichiarazioni dei due coniugi andati a trovarlo alla stazione dei carabinieri di Piazza Armerina. Alla fine il regista Musotto ha ammesso di avere organizzato la messinscena ma, ha detto, d’accordo con Balli (e all’insaputa della moglie) per sfuggire ai creditori in seguito a una serie di difficoltà finanziarie della società; in realtà, con questo sistema è riuscito a sottrarre a Balli il controllo della società utilizzata per fini che non sono stati finora approfonditi. Nell’arringa finale l’avvocato Mario Bellavista, difensore di Balli, ha chiesto la condanna di Musotto anche per “eliminarlo dal palcoscenico antimafia, utilizzato da alcuni come esclusiva fonte di business”.
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