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Referendum, le lontane ragioni di un no: riflessioni prereferendarie di Marina Castiglione

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Non si può tacere dinanzi allo scempio di migliaia di ettari di bosco andati, letteralmente, in fumo in queste settimane. Ma non si può tacere neanche dinanzi allo scempio di una democrazia sempre più fragile e distante dagli obiettivi costituzionali usciti dal secondo conflitto mondiale e dalle pagine oscure del nazi-fascismo. Il primo scempio è visibile e crea uno stato di indignazione comune. Il secondo è subdolo, strisciante e quasi impercettibile, ma i suoi effetti producono l’incenerimento di non meno importanti risorse: quelle umane e civili. Il Referendum per cui ci accingiamo a esprimerci è, a mio avviso, un ulteriore tassello di un disfacimento progressivo, mirato a costruire oligarchie sempre più distanti dalla partecipazione alla vita pubblica. I padri costituenti ebbero una visione alta per il futuro della Nazione: la nuova Italia dei diritti, libera, pienamente alfabetizzata, colta, allenata alle neonate forme di partecipazione democratica anche attraverso l’organizzazione dei partiti, avrebbe scelto per la propria rappresentanza i migliori. I più preparati, i più colti, i più disinteressati, coloro che più e meglio si sarebbero spesi per il bene collettivo, conoscendo le specificità e le esigenze dei territori.
Conosciamo oggi la distanza tra i propositi e le realizzazioni; le cadute involontarie e quelle proditorie; i trasformismi e gli inciuci; i fallimenti di varie classi dirigenti (a prescindere dai colori politici) sempre più autoreferenziali; la macchina oscura della burocrazia che rende difficile e faticoso l’accesso ai servizi; il disinteresse o la nausea degli stessi cittadini, sempre più accontentabili attraverso favori personali e oggi addomesticati dal reddito di cittadinanza piuttosto che dalla costruzione di contesti di sviluppo e investimento. Ma in questi anni si sta compiendo un ottundimento che ha accelerato ancor più la misura della distanza: nonostante l’alta percentuale di diplomati e laureati, i tassi di analfabetismo di ritorno sono tra i peggiori in Europa; la capacità di leggere un testo e comprenderlo è certificata per numeri molto lontani dalla totalità; le migliori menti sono costrette a vedere altrove la realizzazione dei propri sacrifici. Si comprende la disaffezione dalla politica, ma non la risposta ai problemi.
Il referendum che riduce il numero dei parlamentari non sarà, infatti, la panacea alla inefficienza complessiva del sistema, ma un ulteriore elemento che contribuirà a delegare a figure sempre più distanti (e, in sostanza, sconosciute) dai cittadini e sempre più indicate dall’alto (e, viceversa, di preferenze si sarebbe dovuto parlare..) le decisioni politiche e che porterà a numeri sempre più bassi di votanti. L’esercizio del voto, infatti, prevedo che sarà esercitato sempre più stancamente e senza vedervi una reale possibilità di cambiamento.
E a sorreggere questo iato tra luoghi delle decisioni e popolazione concorrerà ancora una volta la povera scuola, sempre più in balia di decisioni estemporanee e sempre meno ossatura di pensiero e coscienza civile. E che questo sia il vero problema lo dimostra lo strisciante sentimento collettivo anestetizzato dai media, tendenzialmente impaurito del nuovo e dell’altro, tendenzialmente autoconservativo, autogiustificatorio prima di atteggiamenti e poi di comportamenti violenti, recriminatorio rispetto al merito, sprezzante dei talenti, emulatore di ogni corruttela, assai distante – dunque – da quello che ottanta anni fa era stato sperato e previsto.

Una scuola aperta a tutti, democratica e solidale, fucina di intelligenze e predisposizioni, non avrebbe dovuto produrre una società che non vede che il vulnus non sta nei numeri della rappresentanza, ma nella loro qualità.
Una scuola al ribasso genera una società al ribasso e ci si è impegnati per decenni perché questo accadesse. L’aver considerato la scuola delle competenze superiore alla scuola delle conoscenze, l’aver introdotto ipocritamente l’informatica senza dare l’accesso alle domande ontologiche, l’aver sottratto ore all’educazione civica, l’aver sconnesso gli studenti dallo spazio vissuto annullando quasi del tutto l’insegnamento della geografica fisica, l’aver accorpato plessi pur di aderire alle esigenze di spesa, l’aver spinto verso classi pollaio obbligando a piani personalizzati impossibili, l’aver mortificato il ruolo del docente spesso o in balia di minacce dirigenziali di perdita di posto qualora diminuisse il numero di iscritti o di azioni di rivalsa da parte delle famiglie: questi alcuni dei passaggi che hanno condotto a costruire una popolazione che oggi grida e usa slogan come e più dei propri rappresentanti politici, senza visione critica e con un pensiero sempre più sgrammaticato.
Tutto questo è stato “ben” costruito e quindi mi aspetto che vinca il sì. Un sì seguito da altri passetti piccoli, ma inesorabili, verso il nulla, che ci allontaneranno ancor più da quella visione costituzionale che oggi appare forma di un progetto statale scomparso.

Marina Castiglione

Caltanissetta|le lontane ragioni di un no|Marina Castiglione|opinione referendum|Referendum|Referendum costituzionale|Sicilia 2020-09-11
Tags Caltanissetta|le lontane ragioni di un no|Marina Castiglione|opinione referendum|Referendum|Referendum costituzionale|Sicilia
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