Gaetano Rampello, 57enne assistente capo della polizia di Stato in servizio a Catania ha confessato l’omicidio del figlio 24enne, compiuto questa mattina, in piazza Progresso nel centro di Raffadali. Ecco il suo racconto: “Questa mattina abbiamo avuto un’altra discussione. Gabriele aveva problemi psichici. Mi ha telefonato chiedendomi 30 euro, quando ci siamo incontrati, glieli ho dati, ma mi ha detto che ne voleva 50. Mi ha aggredito, e mi ha sfilato il portafogli. A quel punto ho avuto un corto circuito, e gli ho sparato non so quanti colpi”. Gaetano Rampello ha scaricato contro il figlio tutto il caricatore della sua pistola d’ordinanza. Quindici colpi. “Io ne ricordo solo due, Poi, mi sono allontanato e ho chiamato il 112, li ho aspettati seduto alla pensilina dell’autobus”, ha precisato l’omicida davanti al sostituto procuratore di Agrigento Chiara Bisso, e al suo legale, l’avvocato Daniela Posante.
“Gabriele mi picchiava, mi insultava – ha ricostruito ancora -, mi diceva “Bastardo e uomo di merda”, devi darmi altri soldi”. Gliene davo 600 euro al mese, ma non gli bastavano mai”. Vincenzo Gabriele Rampello aveva vissuto per tre anni in una comunità, poi, un periodo dal padre, e un altro dalla madre, che vive a Sciacca con il nuovo compagno. “Avevo chiesto aiuto ai servizi sociali — dice ancora il padre — ma nessuno mi aveva aiutato. Avevo anche denunciato mio figlio dopo le aggressioni, l’ultima quindici giorni fa”.
Rampello è un poliziotto di lungo corso, assistente capo in servizio al reparto mobile della Questura di Catania. Nella città etnea ci arriva nell’ormai lontano 2001 quando era stato deciso un allontanamento per motivi di opportunità in seguito ad alcuni guai giudiziari di un parente. Per molti colleghi era impensabile che proprio lui, uomo in divisa, potesse trasformarsi in assassino a sangue freddo.