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Home» Riceviamo e pubblichiamo»Lettera aperta di Rocco Gumina sul centenario del Partito popolare italiano

Lettera aperta di Rocco Gumina sul centenario del Partito popolare italiano

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La fondazione nel 1919 del Partito Popolare Italiano è il punto di arrivo – ma anche di ripartenza – dell’impegno sociale e politico dei cattolici cresciuti con le riflessioni suggerite da Leone XIII nella Rerum novarum del 1891. La prima enciclica sociale del magistero della Chiesa, ha spinto forze culturali, sociali, politiche ed economiche verso un impegno nella storia e fra gli uomini a partire da un’ispirazione cristiana non più oppositiva alla modernità. Difatti, le tesi contenute nella Rerum novarum, permisero ai cattolici italiani di sviluppare quel processo che li porterà – con il Partito Popolare prima e con la Democrazia Cristiana poi – ad occuparsi della politica nazionale non tramite una prospettiva clericale bensì attraverso un
impegno civile fondato su principi cristiani. Ciò significava divenire una forza e una rappresentanza politica non più legata a filo doppio al romano pontefice e ai suoi interessi politici ma aperta alle dinamiche e ai bisogni dell’intero popolo italiano.
Nodo fondamentale dell’operazione politica popolare è il concetto di libertà. Tale questione – per gli uomini capeggiati a lungo da Luigi Sturzo – non era di natura formale ed esteriore. A parere dei popolari, infatti, il concetto e l’esercizio della libertà riguardavano l’intera realtà sociale destinata ad esercitare un senso profondo, sostanziale e intimo di quel valore capace di avviare un progresso continuo tanto nei vari corpi sociali quanto nei singoli. Nella logica del Partito Popolare Italiano, anzitutto, si trattava di declinare la libertà sul versante della scelta religiosa e dell’insegnamento considerate come le uniche vie di fuga da ogni tentativo statalista, monopolista e dittatoriale. Inoltre, il valore della libertà – nella visione dei popolari – andava connesso all’ideale della giustizia. Proprio nella perenne congiunzione fra libertà e giustizia, si fonda la proposta della libertà d’insegnamento, della riforma della cultura e della diffusione dell’istruzione professionale presente al secondo punto del programma del partito d’ispirazione cristiana lanciato insieme all’Appello a tutti gli uomini liberi e forti il 18 gennaio del 1919.
La sintetica espressione sull’insegnamento presente nell’idea programmatica dei popolari indica una precisa visione dell’uomo, della società e dello Stato. Prospettiva che, in primo luogo, rifiuta la concezione dell’ente statale come educatore ed insegnante unico; l’imposizione di un insegnamento meccanico e uniforme per tutti; la centralizzazione e la burocratizzazione dell’educazione e della formazione; la soppressione dell’iniziativa privata nel campo educativo; il mero raggiungimento formale di un titolo di studio. In seconda battuta, l’opinione sull’insegnamento avanzata dei popolari intende il processo educativo come il risultato di un vasto insieme di relazioni che vedono come protagonisti la famiglia, i corpi sociali, la religione. Si tratta di un processo poliforme e realmente democratico finalizzato alla continua maturazione di una cittadinanza consapevole e interessata alle sorti della comunità nazionale e umana in genere. In questa elaborazione, è senza dubbio la famiglia a possedere il diritto primario all’istruzione e all’educazione dei figli che può integralmente esercitare con l’attività sussidiaria dello Stato. Oltre alla famiglia, ruolo fondamentale nell’insegnamento è quello svolto dal maestro. Difatti per i popolari, l’insegnante rappresenta il cuore della scuola poiché dove esiste un maestro consapevole del proprio ufficio esiste una scuola, anche se difettano i locali, gli arredi e tutte le comodità uggerite e volute dal progresso sociale. In questa riflessione, non possiamo dimenticare che le tesi sulla libertà d’insegnamento sostenute dal Partito Popolare Italiano si collegavano strettamente al problema dell’economia nazionale. Simile questione era sollevata soprattutto in riferimento all’istruzione professionale la quale poteva permettere, secondo gli uomini guidati da Luigi Sturzo, un adeguato sviluppo economico.
La proposta politica dei popolari, avversa ad ogni forma di monopolio di Stato o di ideologia, trova nella libertà d’insegnamento un punto di riferimento fondamentale. Alla radice dell’idea di scuola e di educazione del partito d’ispirazione cristiana, vi è la concezione di una libertà intesa in termini relazionali e sociali la quale permette di avviare un processo, mai definitivo, di sviluppo e di maturazione tanto per i singoli quanto per l’intera società. Da ciò deduciamo che il programma del partito fondato da Luigi Sturzo, nasceva da una certa visione della storia e della comunità umana la quale discende dal cristianesimo ma che – nella sua proposizione politica, sociale ed economica – conserva pienamente i caratteri dell’aconfessionalità. In merito alla libertà d’insegnamento, l’ispirazione cristiana faceva emergere – nella visione programmatica dei popolari – tre capisaldi irrinunciabili come l’aspetto relazionale, la centralità della
famiglia, il legame con la prospettiva sociale ed economica. Tali temi risultano prioritari per rintracciare, a cento anni di distanza l’attualità dell’esperienza e del messaggio politico del Partito Popolare.

Rocco Gumina

Lettera aperta di Rocco Gumina sul centenario del Partito popolare italiano 2019-01-21
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