[embed_video id=124313]Attorno al 1700 la confraternita di San Filippo Neri, istituita nella Cattedrale, usava portare in processione il Giovedì Santo cinque piccole rappresentazioni dei misteri dolorosi del Rosario: Gesù all’orto, La Flagellazione, L’incoronazione di spine, L’ascesa al calvario e La Crocifissione. Questa processione, nel suo percorso, faceva tappa in cinque chiese e si concludeva in piazza con la predica dei Misteri.
Dal 1801 al 1841 la processione non si tenne più fino a quando un membro della confraternita di San Filippo Neri, il farmacista Giuseppe Alesso, chiedendo il consenso al re delle due Sicilie Ferdinando II, riuscì a ripristinare l’antica tradizione. Durante le settimane antecednte alla Pasqua del 1841 nella chiesa di San Sebastiano furono allestite sette vare prendendo in prestito dalle chiese cittadine statue, oggetti sacri e tutto ciò che serviva per abbellire le rappresentazioni. I gruppi realizzati erano: Gesù all’orto, La Cattura, Gesù alla colonna, L’Ecce Homo, La Crocifissione, La Traslazione, L’Addolorata. Il bacio di Giuda fu costruito nello stesso anno mentre negli anni seguenti furono aggiunti altri gruppi: nel 1842 L’Incontro e La Veronica, nel 1843 Gesù alla Colonna, La Condanna e Il Cireneo, nel 1844 Il Crocifisso e La Pietà, nel 1845 fu rifatto L’Ecce Homo e La prima caduta, nel 1850 fu rifatta L’Addolorata e Il Sepolcro e infine, nel 1853 ad opera di un artista napoletano fu rifatta la Traslazione che è ad oggi l’unica di quel periodo che sopravvive.
Verso la fine del 1800 la processione cominciò nuovamente a decadere e il Giovedì Santo si vedevano sfilare solo poche vare, ma una grande tragedia avvenuta nella miniera Gessolungo il 12 novembre 1881, rinvigorì la pietà popolare e per opera dei minatori superstiti di quella tragedia fu deciso di portare in processione il gruppo della Veronica che, per l’occasione, fu commissionato a due artisti napoletani, già noti per le loro opere, Francesco e Vincenzo Biangardi.
Nel 1883 venne così ripristinata la processione e grazie alla devozione di numerosi ceti e ai mirabili lavori fatti dai Biancardi le vare crebbero in numero o furono ricostruite a sostituzione delle precedenti. Furono in tutto 15 i gruppi statuari che gli artisti napoletani costruirono fino al 1909 e che ancor oggi sfilano per le vie della città il Giovedì Santo. Le vare furono fatte con impalcatura in legno rivestite da cartapesta, gesso e tela olona per fare in modo che i gruppi, che venivano portati a spalla dai devoti, fossero il più leggeri possibile.
Di seguito elenchiamo le 16 vare così come disposte in processione, indicando fra parentesi l’anno di costruzione: L’Ultima Cena (1909), L’Orazione nell’Orto (1884), La Cattura (1884), Il Sinedrio (1886), La Flagellazione (1909), L’Ecce Homo (1892), La Condanna (1902), La Prima Caduta (1886), Il Cireneo (1886), La Veronica (1883), Il Calvario (1891), La Deposizione (1885), La Traslazione (1853), La Sacra Urna (1892), L’Addolorata (1896).
La mattina del giovedì Santo la vare, che durante l’anno vengono conservate nei magazzini della chiesa San Pio X, vengono dislocate in vari punti della città. Le famiglie che le hanno in gestione provvedono ad addobbarle con splendidi fiori. Alla vara L’Orazione nell’Orto vengono messi grossi rami di ulivo verdi mentre il tavolo della vara dell’Ultima Cena viene riempita da pane di forma rotonda, tipico del nisseno, finocchi, lattuga.
Verso l’imbrunire le vare muovono verso piazza Garibaldi dove sosteranno in circolo attorno alla fontana di Tripisciano fino alle 20:30 circa, quando una spettacolare “maschiata” (fuochi d’artificio) da il via alla lunga processione che si snoda per le vie della città antica. Le vare, un tempo portate a spalla, oggi vengono spinte su dei carrelli a ruota. Davanti alla vare si trova un grosso “timone” per far sterzare le ruote anteriori, che viene manovrato da un devoto che battendo dei colpi sull’asta metallica con un martelletto comunica a coloro che spingono il gruppo, e che si trovano nella parte posteriore, quando avviare la marcia o fermarla.
Ogni vara è preceduta da una banda proveniente da vari paesi della provincia e non solo, mentre le famiglie, i ceti e i devoti nelle tipiche tonache bianche con mantelli neri orlati da nastrini, si dispongono in due file per aprire il passo alla vara. Davanti alla vara ogni tanto vengono fatti accendere dei bengala posizionati nei tradizionali “bilannuna”, aste con in cima un candeliere particolare che ha il compito di convogliare sul gruppo statuario la luce emanata dal bengala.
Il percorso, che come detto parte da piazza Garibaldi, va verso la chiesa di Sant’Agata passando davanti al Comune. Da li imbocca via Re D’Italia, strata tradizionalmente utilizzate per tutte le processioni nissene fino ad arrivare alla chiesa Santa Croce. Da li, passando vicino piazzetta Tripisciano, si dirige nuovamente verso piazza Garibaldi per poi percorrere tutto corso Umberto, via Redentore, via Maddalena Calafato, viale Testasecca. Qui le vare, verso le 23, fanno una sosta di circa un’ora e stazionano tutte in fila lungo la via che costeggia villa Cordova. Durante quest’ora i devoti che hanno spinto e seguito le vare vanno a rifocillarsi con prodotti tipici nisseni e vino offerti dalle famiglie e dai ceti che tengono le vare.
La ripartenza è uno dei momenti più spettacolari della processione perché viene affrontata, fra gli applausi del pubblico, la ripida salita di via XX Settembre. Percorsa tutta la via e incrociando viale Regina Margherita le vare scendono per Corso Umberto I per riposizionarsi in Piazza Garibaldi.
L’arrivo dell’ultima vara è il segnale che fa partire l’ultima maschiata della serata, la più bella e dirompente della settimana Santa. I fuochi d’artificio a loro volta danno il via alla “spartenza”, momento in cui le vare, in ordine sparso, ritornano al luogo dove vengono conservate durante l’anno. Un tempo la spartenza era occasione di gara fra coloro che spingevano o portavano a spalla i gruppi statuari. Oggi, dopo vari incidenti e per la fragilità delle vare che ormai risentono del peso degli anni, si accenna solamente a quella che un tempo era una vera e propria lotta fra devoti.