Jessica Napoli, educatrice professionale:
Oggi è la XXVII Giornata mondiale dell’ Alzheimer, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La malattia, forma più comune tra le demenze, è una sindrome clinica e degenerativa, dovuta ad un disturbo cronico e progressivo del cervello. Comporta la degenerazione di facoltà mentali ( memoria,capacità di ragionamento), affettività ed emotività, e comportamenti e personalità ( agitazione, aggressività). Soprattutto negli ultimi due decenni, la ricerca ha fatto passi da gigante, non arrivando però a determinare una causa specifica, ma attribuendo a due strutture anomale e ancora oggetto di studi, placche e grovigli,la causa principale di morte neuronale. E’importante comunque, al minimo campanello d’allarme , prenderne subito atto. Quando si percepisce un deterioramento cognitivo è necessario consultare un medico per avviare l’iter diagnostico : colloquio, visita medica, esami del sangue e strumentali e test neuropsicologici. Sono manifestazioni che costano fatica ai familiari o caregiver, ma sono tuttavia le uniche che permettono alla persona affetta dal disturbo di rispondere alle richieste del mondo.
Si parla ad esempio di perdite di oggetti e accuse di furto. La persona dimentica dove ha riposto un oggetto e spesso accusa gli altri di averlo rubato. E’ opportuno in questi casi, non reagire in maniera istintiva e riprodurre piuttosto dei duplicati; oppure di attività ripetitive, in quanto la persona affetta da demenza, può dimenticare ciò che ha detto o fatto, ripetendo parole e azioni più volte. Si parla poi di comportamenti disinibiti, soprattutto in pubblico o di deliri ed allucinazioni, soprattutto in delle fasi particolari, che diventano problematici poiché la persona ha in quel momento una rappresentazione molto reale, e quindi è necessario lenire l’ansia, assecondandola. Un altro comportamento tipico è la perdita dell’orientamento, ossia non percepire anche in modo repentino, la propria collocazione spaziale, non ricordando ad esempio la strada per ritornare a casa.
Tra le manifestazioni più “forti” troviamo l’ aggressività e la violenza, che riguardano tutte quelle reazioni dovute a cambiamenti fisici, fisiologici o ambientali, che spesso diventano veramente difficili da contenere. Mi riferisco per esempio ad un trasferimento di abitazione ( anche in una casa di cura), cambiamenti inattesi o anche il fatto stesso di chiedere supporti per dei compiti che sono strettamente legati a bisogni appunto fisiologici. Dobbiamo parlare anche di depressione e di ansia, una marcata tendenza all’isolamento, una fase in cui le persone parlano e agiscono con difficoltà e lentezza. E’ fondamentale in questa fase, curare molto l’aspetto relazionale. Il DSM V, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali,afferma che per una diagnosi di demenza, sia necessario appurare la presenza di deficit cognitivi che rappresentino un declino rispetto al precedente livello di funzionamento raggiunto. Tra i disturbi neurocognitivi maggiori, compaiono quelli relativi all’area dell’attenzione complessa ( ad esempio la memoria di lavoro), alle abilità esecutive,all’apprendimento e alla memoria( memoria immediata o memoria di richiamo), al linguaggio ( sia espressione sia comprensione) e la cognizione sociale ( ad esempio la regolazione del comportamento o la teoria della mente). La patologia non affligge solo la persona,ma si ripercuote emotivamente anche sulla famiglia. In linea generale infatti l’assistenza può essere spesso complicata e causare momenti di angoscia e depressione, con sensazioni legate alla perdita ed al confronto tra il “ prima “ e il “ presente “ della persona. Particolarmente angosciante può essere il momento in cui il familiare non riconosce più gli altri.
Assolutamente normale è anche il senso di colpa, provando a volte anche rabbia e nervosismo. Oltre all’apprensione per i comportamenti disinibiti. E’ assolutamente frequente poi il senso di solitudine, dal momento che spesso il caregiver tende ad isolarsi in casa con la persona, rischiando di compromettere le relazioni sociali. Quest’ isolamento, tenendo conto che tra le altre cose, la persona si fa carico anche delle responsabilità che prima erano dell’ individuo , diventa controproducente per entrambi. E’ infatti assolutamente opportuno, accettare l’aiuto dei membri della famiglia per alleggerire il carico, condividendo con loro stati d’animo e preoccupazioni. Con loro, ma anche con altre persone che vivono la stessa situazione. Mai arrivare al limite della serenità. E’ infine di fondamentale importanza, affidarsi alla rete dei servizi territoriali. Gli esperti del settore infatti, saranno fondamentali per l’aiuto e il supporto psicologico e riabilitativo (importantissimi per i familiari specialmente nella fase finale), e le informazioni acquisite in questi momenti, potranno essere condivise con amici e parenti per una conoscenza maggiore della realtà.
Le terapie ad oggi adottate sono sia farmacologiche sia neuropsicologiche, queste ultime in particolare, strutturate in modo da potenziare le abilità residue ed acquisire strategie di compensazione per quelle deficitarie. E’possibile inoltre potenziare i fattori di rischio non legati alla genetica, come lo stile di vita, trasformandoli in fattori di protezione. E’ opportuno infine entrare nell’ottica che la patologia intaccherà il senso d’ identità, la percezione dell’ ambiente e il modo di agire, e che i disturbi comportamentali potranno essere gestiti ma non controllati. Tipicamente le fasi da attraversare saranno sette, in base ai sintomi ed al livello di deterioramento cognitivo.Il decorso inoltre, potrebbe essere molto lungo. Al giorno d’oggi mediamente più di dieci anni, e la morte potrà sopraggiungere o nel contesto della malattia di base o per la degenerazione dovuta alla patologia in questione.