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Caltanissetta. Etnos. Le case rifugio in coro per dire: “Basta”.

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Nunzia Caricchio, ufficio comunicazione Cooperativa Sociale Etnos, di Caltanissetta, scrive  per segnalare  la situazione attuale delle case rifugio e dei centri antiviolenza per donne vittime di violenza.

Crediamo che, unendo le forze, il grido d’aiuto possa essere ascoltato.

Poche chiacchiere: è tempo di risposte.

Le case rifugio in coro per dire: “Basta”.

 

“Siamo in attesa di riscontro per alcuni progetti e contributi che abbiamo proposto e richiesto nel 2019/2020”.

“Per non parlare del fatto che il comune di Palermo non abbia ancora pagato le somme del 2019”.

“Quelle somme lì sono andate come debito fuori bilancio”.

“Purtroppo, abbiamo perso una causa contro un Comune proprio perché non hanno riconosciuto il debito”.

“Il comune di Barrafranca dichiara nuovamente il dissesto finanziario”

“Il fatto è che abbiamo a che fare con persone che fanno di tutto per non pagare le fatture di ogni genere”.

“Non aiutano, ma di contro pretendono il servizio”.

“Ci sentiamo abbandonate”.

Queste, alcune delle frasi pronunciate da bocche stanche di far uscire una voce che non viene ascoltata. Sono le voci dei rappresentanti e delegati di alcune case rifugio ad indirizzo segreto della Sicilia

Perché?

La politica è sorda. Vogliamo conoscere la programmazione regionale sugli interventi a sostegno delle donne vittime di violenze e, soprattutto, come la politica regionale intende controllare i comuni inadempienti e che adottano procedure non conformi alle direttive nazionali e comunitarie.

È tutto fermo: non si esitano i bandi sulle borse lavoro e sui contributi alle case rifugio e ai centri antiviolenza.

La testimonianza di una collega sintetizza la situazione:

“Le criticità sono numerose e comuni. “Precarietà” è la parola adatta da pronunciare. I Comuni che pagano, eccetto qualche rara eccezione, lo fanno con grave ritardo e noi siamo costretti ad affrontare spese quotidiane enormi. E non solo, perché siamo obbligati a pagare con puntualità i contributi, pena la non regolarità del Durc, il quale, a sua volta, rappresenta il motivo per non poter esigere la riscossione dei pagamenti dovuti.

I Comuni faticano a riconoscere l’onere economico per l’accoglienza di donne, il cui inserimento avviene in emergenza, soprattutto, se la permanenza in struttura è di breve durata.

Si consideri che, in un caso, il Comune si è rifiutato di stipulare la convenzione, sebbene la richiesta di accoglienza fosse arrivata dai Servizi Sociali dello stesso comune. La mancanza di convenzione è stata motivo di non riconoscimento del credito quando è stato stipulato il decreto ingiuntivo, per cui si è dovuto procedere per vie legali; dopo quasi tre anni, non si è nemmeno visto l’avvio del procedimento.

I debiti rimangono insoluti per anni, e intanto cambiano le amministrazioni comunali e tutto ricomincia daccapo.

La retta della Regione era intesa esclusa di iva, e una mancata chiarezza nel decreto ha fatto sì che, sollevata la questione delle amministrazioni comunali, la nuova interpretazione sia stata a vantaggio dei Comuni, intendendo la somma iva inclusa. Può apparire poca cosa, ma è sintomo della poca tutela e attenzione nei nostri confronti.

Inoltre, andrebbe segnalata, oltre che la mancanza di una programmazione, la grave assenza di controlli rispetto ai servizi improvvisati, che arrecano gravi danni alle donne che, non solo non ricevono il supporto adeguato e necessario, vengono ancora di più lese, vittimizzate nuovamente e scoraggiate nei loro percorsi verso l’uscita dalla violenza”.

Le cooperative sociali, i centri antiviolenza, le figure che lavorano al loro interno sono esauste. Lottano contro un sistema ipocrita e, talvolta, fantasma, che pretende servizi senza aiutare.

Il dissesto finanziario che punge le amministrazioni soffoca il Terzo Settore, il quale, allo stremo delle forze, arranca verso un futuro plasmato dall’abbandono, nonostante continui a credere fermamente in determinati valori che possano cambiare il mondo e quella società malata che, giorno dopo giorno, divora i propri figli illudendoli.

Per quanto tempo ancora è possibile andare avanti? Per quanto ancora possono, le amministrazioni, i dirigenti, ingannare, promettendo fondi destinanti ai vari progetti sociali, ma che, alla resa dei conti, li trasformano in capitali liquidi fuori bilancio?

Ci scontriamo anche con una giustizia che non riesce a dare tempi certi ai ricorsi e ingiunzioni di pagamento.

E a sbarrare la strada c’è anche una parte della stampa, che corre da un luogo all’altro in Italia per riprendere panchine rosse, targhe e poi, il resto? Perché non firmano articoli dove emerge la verità sulla politica, sull’ipocrisia del sistema che vuole ricevere ma non vuole donare?

In TV le belle facce in giacca e cravatta promettono, si impegnano – solo per ottenere voti ‒, muovono le labbra, mentre le mani restano dietro la schiena.

Siamo allo stremo delle nostre risorse, ma nessuna donna sarà lasciata sola o abbandonata.

Adesso vogliamo solo risposte, è tempo di dire “basta”.  Pertanto, chiediamo supporto a enti e organizzazioni, e a quella politica sana che intende unirsi per dare vita a un coro che possa arrivare ai cosiddetti piani alti, affinché oltre le parole ci siano anche i fatti.

Tuttavia, ci ritroveremo a Caltanissetta, il 26 novembre 2021, alle ore 19:00, in Viale Regina Margherita, per camminare insieme e accendere la fiaccola della speranza.

( foto di repertorio)

26 novembre|Caltanissetta|case rifugio|etnos|Fiaccolata 2021-10-26
Tags 26 novembre|Caltanissetta|case rifugio|etnos|Fiaccolata
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